25 Giugno 2016
Chiamata diretta: negoziato in corso
Uil: serve un procedimento rapido, di revisione profonda degli elementi sbagliati della legge
Turi: disinnescare l’ulteriore frattura con il mondo della scuola
Che la legge del Governo sulla scuola possa aver contribuito a determinare il negativo risultato delle recenti elezioni amministrative, è una sensazione che in questi giorni viene confermata da alcuni sondaggi - osserva Pino Turi, dopo l'iniziativa del sondaggio on line assunta da un quotidiano nazionale. (*)
Abbiamo appreso che il 53% degli intervistati indica nella riforma della scuola l'errore maggiore della maggioranza di Governo. Percentuale salita al 72%, negli ultimi giorni. Presumibilmente - sottolinea il segretario generale della Uil Scuola - per la concomitanza dell'avvio nelle scuole del cosiddetto "bonus".
Un dissenso destinato ad aumentare in conseguenza di quella che è una delle scelte più contestate della legge del Governo sulla scuola: la scelta diretta dei dirigenti scolastici dei docenti titolari di ambiti.
Proprio in questi giorni siamo impegnati in un negoziato vero che presenta nodi da sciogliere ma anche aperture da cogliere. Sulla specifica sequenza contrattuale, come Uil, siamo impegnati per trovare soluzioni concrete nell'ambito della sede negoziale, cosi lo saremo nel negoziato per il rinnovo del contratto di lavoro.
Il Ministro Giannini qualche giorno fa, intervenendo su Radio24, ha parlato di ricucitura dello strappo con il mondo della scuola. Fatto, questo, certamente positivo e meritorio.
Al ministro vogliamo dire che si tratta di un processo appena accennato, timido e molto lento.
Il grande sciopero del 5 maggio, quello alla vigilia dell'entrata in vigore della legge, era un segnale di un malessere profondo e diffuso che non andava trascurato e dissimulato dai cattivi consiglieri.
Ora occorre che il procedimento di ricucitura, se si vuole realmente realizzare, sia più rapido e chiaro. Punto di partenza è il riconoscimento dei diritti professionali del personale docente, dirigente ed ATA che della scuola dello stato rappresentano l'elemento costitutivo ineludibile.
Un procedimento rapido indotto dalla contrattazione, di revisione profonda degli elementi sbagliati della legge 107, sarebbe utile anche a disinnescare l'ulteriore frattura con il mondo della scuola - aggiunge Turi - rappresentato dall'annunciato e probabile referendum, che non farà certamente bene al Governo, al PD e alla scuola stessa. Credit UIL scuola news
(*) Libero quotidiano:
… "E' la riforma della scuola che maggiormente pesa sul crollo elettorale del Partito Democratico dopo le comunali dei giorni scorsi. A dirlo un sondaggio avviato da liberoquotidiano.it del quale abbiamo dato notizia nei giorni scorsi. Secondo i dati, il 53% di preferenze indicava nella riforma della scuola l'errore maggiore del PD.
Un 53% che in questi giorni è passato al 72%, un plebiscito di condanna che ancora brucia nel mondo della scuola
Eppure, il Ministro Giannini qualche giorno fa, intervenendo su Radio24, ha parlato di ricucitura dello strappo con il mondo della scuola"…
http://www.liberoquotidiano.it/sondaggi/11796324/Secondo-voi-qual-e-l-errore.html?refresh_ce
sabato 25 giugno 2016
No Alla chiamata diretta!
domenica 12 giugno 2016
INCUBI!
Quando la mente si popola di incubi
A quasi tutti capita di fare brutti sogni. Alcuni però vivono periodi anche prolungati in cui diventa molto alta la frequenza di incubi che lasciano inquieti per gran parte del giorno, tanto che a volte l’idea di andare a dormire la notte successiva crea ansia. Il sogno - che per il cervello e per il corpo è una realtà concreta - ha toccato qualcosa di vitale, di viscerale. Situazioni paradossali, fuori dall’ordinario, che "sentiamo" con la stessa intensità di un'esperienza reale. Che cosa possono significare? L'ipotesi psicologica più accreditata è che attraverso i sogni l'inconscio cerchi di far emergere dei contenuti che la coscienza razionale non vuole vedere o nega del tutto. Per farlo utilizza un linguaggio simbolico a tinte forti - appunto il linguaggio degli incubi - che non ci permette di continuare con la consueta apparente indifferenza, "attaccandoci" proprio quando siamo al massimo abbandono, ovvero durante il sonno.
Due tipi di incubi, due significati differenti
Incubo isolato: esprime spesso l’elaborazione inconscia di un malessere, di un evento o di una situazione recenti
Incubo ricorrente: esprime una psiche bloccata in un forte pericolo o in profonda ma inquietante trasformazione
Che cosa indicano
- Paure o malesseri non riconosciuti
- Necessità profonda di sbloccare una situazione
- Un periodo di ipersensibilità emotiva
- Il travaglio tra due periodi della vita
- Energia e aggressività inespresse
Cosa fare
Non sovraccaricare la fantasia
Evita per un po’ film e letture horror, thriller e noir, musiche inquietanti, cibi pesanti. Crea un ambiente domestico tranquillo e accogliente, fai un bagno rilassante prima di coricarti.
Affidati ai rimedi naturali
Molto utili alcune erbe (biancospino, melissa, tiglio) che favoriscono il sonno sereno, i fiori di Bach, gli oli essenziali sia per diffusione nell’aria di casa sia attraverso massaggi.
Indaga il senso simbolico
Divertiti a cogliere il senso simbolico e i suggerimenti nascosti dei tuoi sogni. Se poi vuoi approfondire, potresti farlo attraverso la psicoterapia.
Cambia qualcosa nella tua vita
Quella che vuoi tu: la strada per il lavoro, la colazione, farsi un regalo diverso dal solito, telefonare a qualcuno che non senti da tempo. Questo aiuta l’inconscio a sbloccare la situazione.
I brutti sogni più comuni
- Rettili, insetti, figure mostruose o deformi
- Abbandono, perdita o separazione
- Cadere nel vuoto, trovarsi al buio
- Non riuscire a urlare, sentirsi paralizzati
- Essere inseguiti, morire, ammalarsi
- Scene lugubri, presenze fantasmatiche
- Commettere o subire atti raccapriccianti
- Parenti defunti in atteggiamenti ostili
- Essere traditi dal partner
Credit Riza. it
venerdì 10 giugno 2016
SCARPE GROSSE, CERVELLO FINO!
Il confronto dei reperti di specie estinte e viventi mostra come l'aumento di massa cerebrale sia presente nella maggior parte delle linee filogenetiche ma non in tutte
L’acquisizione di un cervello di maggiori dimensioni è un evento determinato necessariamente dall’evoluzione? La domanda non è parsa oziosa ai ricercatori delle Università di Cambridge e Durham che sono intervenuti sull’ormai annoso dibattito antropologico che riguarda Homo floresiensis, il famoso Hobbit di ridotte dimensioni, che contrappone chi ritiene che si trattasse di una specie a parte o a chi propende invece per un individuo con una forma di malformazione.
Il gruppo, che firma in proposito un articolo sulla rivista BMC Biology, ha così combinato numerosi insiemi di dati già pubblicati riguardanti la massa corporea e cerebrale derivati da misurazioni sui fossili disponibili. Utilizzando tre differenti metodi matematici, sono poi stati in grado di ricostruire gli schemi dell’evoluzione cerebrale nelle diverse specie di primati, 37 delle quali esistenti e 23 estinte.
I risultati mostrano che mentre il passaggio verso le maggiori dimensioni in termini assoluti e relativi è avvenuto effettivamente nella maggior parte dei “rami” dell’albero filogenetico dei primati, in diversi casi per il cervello il processo è stato l’opposto. Per esempio, il cervello si è ristretto durante l’evoluzione del lemure Microcebus murinus, di Callithrix e del Cercocebo.
Per contro lo studio non ha evidenziato alcuna tendenza complessiva verso l’aumento delle dimensioni corporee, il che suggerisce che nei primati la massa del cervello e quella del resto del corpo sono soggette a pressioni selettive separate.
I gorilla, per esempio, hanno cervelli grandi e l’incremento della massa corporea durante l’evoluzione supera notevolmente quello della massa del cervello. Al contrario, le linee filogenetiche che portano agli
altri primati come gibboni e colobi mostrano un incremento nella massa cerebrale e una diminuzione di quella corporea. Credit Le Scienze
domenica 5 giugno 2016
FRANCIA, FINO A MILLE EURO MENSILI IN PIÙ AI DOCENTI
Francia, fino a 1.000 euro mensili in più ai docenti
Gli aumenti da gennaio, legati a colloqui di valutazione a 7, 13 e 20 anni d'insegnamento!
Il governo ha stanziato un mld per gli aumenti ai docenti in due tranches: dal 2017 e dal 2020
Andatelo a dire ai 165 mila insegnanti precari di ogni età (si sono visti anche ultracinquantenni!) che proprio in questi giorni, Tar e Consiglio di stato permettendo, completano le prove scritte per il famoso concorsone per 63 mila cattedre e uno stipendio da 1.500-1.800 euro che, nell'Italia dell'ascensore sociale che scende-scende anziché salire come spiega il sociologo Ilvo Diamanti, sono un miracolo.
Andate a dirlo a loro che il ministero della pubblica istruzione francese ha appena deciso di aumentare la massa salariale destinata agli insegnanti, dalle primaires (le elementari) al collège (le medie), di un miliardo di euro: mezzo miliardo a partire dall'anno prossimo, dalle buste paghe di gennaio 2017, e l'altro mezzo miliardo dal 2020.
In gergo burocratico questa autentica pioggia di quattrini, che in Italia gli insegnanti se la sognano, si chiama Protocole sur les parcours professionnels, carrières et rémunérations (Ppcr) ed è, in pratica, un nuovo sistema di remunerazione basato su valutazioni progressive, diciamo pure esami, a cui i prof dovranno sottoporsi nel corso della loro carriera.
Il ministro Najat Vallaud-Belkacem l'ha definito un modo per «renforcer l'attractivité du métier», la strada giusta per ridare valore al lavoro dell'insegnamento.
E i sindacati della scuola, tutti d'accordo, hanno spiegato ai loro iscritti che il Ppcr (che si pronuncia pe-pe-se-er e ora non c'è insegnante che non ne conosca il significato) è «une révalorisation et une amélioration globale de la carrière de tous les personnels», una rivalorizzazione e un miglioramento dei percorsi di carriera di tutto il personale della scuola, senza dimenticare, se no che sindacalisti sarebbero!, che mezzo miliardo di euro in più non è che un premier pas, il primo passo.
L'opposizione in parlamento, i repubblicani di Sarkozy, ovviamente gridano allo scandalo e accusano ministro e governo di voler dare un contentino agli oltre 800 mila insegnanti di ruolo che rappresentano la constituency del partito socialista alla vigilia delle presidenziali.
E fanno anche notare che solo pochi giorni fa il presidente François Hollande aveva annunciato di voler ridurre, con un taglio al credito d'imposta, le risorse destinate agli enti pubblici di ricerca (Cnrs, Cea ecc.). In questo caso si trattava di soli 132 milioni di euro. Facile la polemica: 132 milioni per la ricerca no, mezzo miliardo per gli insegnanti sì. Il risultato è stato che Hollande ha dovuto fare marcia indietro, come gli capita da almeno tre anni a questa parte. E così nel bilancio pubblico 2017 ci sarà posto sia per le dotazioni alla ricerca sia per gli stipendi degli insegnanti.
Questi ultimi, diciamolo pure, sono stati trattati in guanti bianchi.
L'aumento medio sarà per tutti di oltre 1.400 euro lordi l'anno. Ma la media statistica non dice tutto. Perché, in concreto, gli aumenti saranno ben più alti: un insegnante di ruolo che oggi percepisce uno stipendio mensile di 3.600 euro lordi passerà a 3.900 (e bisogna anche ricordare che, qui in Francia, non c'è la ritenuta alla fonte e ciascuno si regola poi col fisco a seconda della propria situazione familiare). Ancora: per un insegnante delle medie a fine carriera lo stipendio aumenterà di circa mille euro al mese. «Ce n'est pas négligeable», non è poca cosa, dice con molta politesse la ministra Vallaud-Belkacem. Per rendersene conto basta dare un'occhiata a una tabellina preparata dal ministero sulla base di dati Ocse.
Nel rating degli stipendi lordi annui degli insegnanti la Francia è già oggi ben piazzata con 35 mila euro lordi l'anno a inizio carriera e 70 mila a fine carriera (la media Ocse è 35 mila-50 mila). La forchetta si allargherà nel 2020 quando gli insegnanti francesi termineranno la carriera con ben 75 mila euro lordi. Superati solo dai colleghi tedeschi che iniziano a lavorare con uno stipendio di 55 mila euro lordi e terminano con 80 mila. La Gran Bretagna è nella media con una forchetta di 35 mila-50 mila. L'Italia non compare neanche nella tabellina del ministero, e si capisce. Questi livelli di stipendio neanche un preside a fine carriera.
Resta, è vero, il problema della valutazione. Perché gli aumenti sono legati, come si diceva prima, a un meccanismo di valutazione a cui tutti i prof dovranno sottoporsi dopo sette, tredici, vent'anni d'insegnamento.
Come saranno questi esami per gli insegnanti, non lo sa ancora nessuno. Sicuramente ci saranno degli entretiens, dei colloqui con gli ispettori ministeriali e i dirigenti degli istituti. Ma i criteri, i metodi, le regole non sono stati ancora fissati. Ministero e sindacati hanno cominciato a discuterne. Con calma, si capisce. Tanto mezzo miliardo di euro dal 1° gennaio 2017 ai prof francesi non glieli toglie nessuno. Credit Italia Oggi
PENSIONI: RIFORMA O CONTRORIFORMA?
RIFORMA PENSIONI 2016
La "fregatura" del Governo per chi va in pensione a partire da quest'anno! Se c'è la crisi si abbassano anche i montanti delle pensioni!
In attesa della riforma delle pensioni, il Governo con il suo ultimo decreto sui rimborsi ai pensionati presenta una "brutta sorpresa" per i lavoratori.
Brutta sorpresa per chi sta pensando di mettersi a riposo quest'anno: troverà svalutati i contributi su cui gli verrà calcolata la pensione. Colpa della crisi e dell'andamento del Pil, andamento al quale è legata la rivalutazione del montante contributivo (il "salvadanaio" con i contributi versati durante la vita lavorativa). A stabilirlo è il decreto legge n. 65/2015, il provvedimento sulla sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco dell'indicizzazione delle pensioni per il biennio 2012/2013. La notizia è passata sottotono, almeno in confronto a quella del recupero dell'inflazione per i pensionati. Eppure è paradossale: una nuova penalizzazione per i lavoratori (e, di questi, per quelli più giovani).
La questione è tecnica e riguarda il calcolo "contributivo" delle pensioni. Per questo interessa soprattutto i giovani, per tali intendendo quanti hanno cominciato a lavorare dal 1° gennaio 1996 che avranno la pensione calcolata interamente con tale criterio contributivo; agli altri lavoratori, invece, il calcolo contributivo della pensione si applica soltanto ai contributi versati dal 1° gennaio 2012 (effetto riforma Fornero).
Il criterio contributivo calcola la pensione nella misura pari a una "percentuale" dei contributi versati durante la vita lavorativa. Tale percentuale, prefissata dalla legge, cresce al crescere dell'età del lavoratore (al momento del pensionamento) nell'intervallo da 65 anni (4,301%) a 70 anni (6,541%). La percentuale è applicata ai contributi accantonati, mese dopo mese, anno dopo anno, durante la vita lavorativa e che formano il "montante". Questo montante è soggetto a rivalutazione annuale a un tasso pari alla variazione quinquennale del Pil (Prodotto interno lordo).
Arriviamo alla questione. Il 27 ottobre 2014, nel fornire il tasso da applicare ai montanti dei lavoratori che si sarebbero pensionati nel 2015, l'Istat fece presente che per la prima volta dal 1996 il tasso risultava inferiore a 1, cioè pari a 0,998073%. La cosa apparve singolare, perché avrebbe determinato non la "rivalutazione" ma la "svalutazione" del montante contributivo e, quindi, dell'importo della pensione. Esempio: il montante di 300 mila euro sarebbe diventato 299.422 euro e pure la pensione, di conseguenza, sarebbe risultata inferiore: 19.585 euro e non 19.623 al pensionando di 70 anni (38 euro in meno per tutta la vita).
Come da tradizione italiana, ci fu dibattito sul da farsi con il solito distinguo tra favorevoli (lo dice la legge!) e contrari (la legge non lo prevede!). A mettere la parola fine ci pensò l'Inps che, in via amministrativa, "congelò" la svalutazione sostenendo che la legge n. 335/1995 non prevede l'applicazione di un tasso in senso negativo (svalutativo). Decisione buona e giusta: la riforma Dini, infatti, parla di "rivalutazione" dei montanti. L'accento, cioè, è posto nel senso positivo dell'operazione non anche in quello negativo. A ogni modo, l'Inps stoppò l'operazione in attesa di chiarimenti definitivi da parte dei ministeri competenti.
Siamo giunti ai giorni nostri. Quel chiarimento definitivo è arrivato con l'art. 5 del decreto legge n. 65/2015 che inserisce un "periodo" alla norma della legge n. 335/1995 che disciplina la rivalutazione dei montanti: «in ogni caso il coefficiente di rivalutazione (…) non può essere inferiore a 1, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive». Eccola qua la brutta sorpresa: quel periodo aggiunto alla legge n. 335/1995 stabilisce due cose:
1) che se in uno o più anni il tasso scende sotto l'1, la rivalutazione (che sarebbe negativa) non viene fatta per quegli anni;
2) che l'effetto "negativo" non è depennato, ma da recuperare sulle successive rivalutazioni, quando cioè il tasso risale sopra l'1.
La Relazione al decreto legge, depositata in Senato con il provvedimento per la conversione in legge, precisa che, per effetto della nuova norma:
1) è confermato per l'anno 2015 che il tasso di rivalutazione è pari a 1 invece del suo effettivo valore inferiore (cioè 0,998073);
2) e che nell'anno 2016 il coefficiente sarebbe pari a 1,005331, ma è rideterminato in misura di 1,003394 per recuperare il tasso in negativo dell'anno precedente.
Agli effetti pratici succede allora che, a chi si metterà in pensione a partire dal 1° gennaio del 2016, il montante contributivo anziché rivalutarsi di mezzo punto (0,5331%) salirà soltanto di uno 0,3394%: la differenza in meno, pari a 0,1927%, servirà a recuperare la "svalutazione" che doveva esserci nel 2015. Per contro, è fortunato chi va in pensione quest'anno: beneficia di una rivalutazione maggiorata dei contributi (+0,1927%) che non dovrà restituire mai più.
Ancora una volta, dunque, si nota la doppia mano del Legislatore nello scrivere le disposizioni: ai pensionati preserva il "potere di acquisto", agganciando la rivalutazione delle loro pensioni all'inflazione; ai lavoratori invece aggancia le future pensioni all'andamento dell'economia: se il Pil cala scendono anche le loro pensioni. Come dire: è colpa dei lavoratori se il Paese per un certo periodo attraversa una crisi economica.
venerdì 3 giugno 2016
I NEANDERTHAL PARLAVANO!
Un osso ci dice che l'uomo di Neanderthal sapeva parlare!
Studi ai raggi x sembrano confermare che gli ominidi venuti prima dell'Homo Sapiens potessero comunicare a parole. Gli scienziati del Centro di Ricerca Elettra di Trieste dicono di aver trovato il segreto del linguaggio nell'uomo primitivo. Ma altri studi portano a pensare che sapesse anche cantare e ballasse a ritmo di musica
"PERCHE' non parli?" Avrebbe detto Michelangelo, secondo una leggenda, dopo aver finito di scolpire il Mosè e avergli dato una martellata sul marmoreo ginocchio. La stessa domanda se la sono posta anche gli antropologi moderni, ma non a riguardo la scultura di Michelangelo, bensì riferendosi agli antenati dell'Homo Sapiens. Da alcuni scienziati di Trieste la prima conferma su uno di loro: l'uomo di Neandertal sapeva parlare.
La tesi è sostenuta dal Centro di ricerca Elettra Sincrotone di Trieste, che ha analizzato ai raggi X lo ioide - unico elemento osseo del tratto vocale umano - di un uomo di Neandertal rinvenuto nel 1989 nel sito archeologico di Kebara, in Israele. Lo Ioide nell'essere umano fornisce un supporto alla laringe e serve da ancoraggio per la lingua e altri muscoli necessari alla comunicazione verbale. Secondo lo studio, risultato della collaborazione internazionale tra scienziati italiani, canadesi e australiani, le proprietà biomeccaniche di quest'osso posto alla base della lingua non sono molto diverse tra Homo Sapiens e Neandertal: "Dal punto di vista della morfologia esterna, lo ioide dell'Homo Neanderthalensis e quello dell'uomo moderno non presentano sostanziali differenze, mentre hanno una forma diversa da quella di altri primati come lo scimpanzè" ha detto uno degli autori, il paleontologo Ruggero D'Anastasio dell'Università di Chieti. "Questa osservazione - ha continuato D'Anastasio - pur essendo compatibile con la tesi dell'esistenza del linguaggio in questa specie di Homo, non è in alcun modo sufficiente. Per poter dire qualcosa sulla funzione dello ioide, era infatti decisivo analizzare la sua microstruttura interna, che si rimodella in risposta alle tensioni meccaniche a cui l'osso è sottoposto".
Proprio per questo, nel laboratorio Tomolab di Elettra, gli scienziati hanno sottoposto l'uomo di Kebara ad una microtomografia, una tecnica a raggi X che consente di riprodurre sezioni o strati corporei per effettuare elaborazioni tridimensionali con una risoluzione non raggiungibile dalla TAC convenzionale. "A partire da queste ricostruzioni - Ha detto Lucia Mancini, esperta di imaging a raggi X che ha collaborato alla scoperta - i nostri colleghi australiani e canadesi hanno poi effettuato alcune simulazioni con la cosiddetta 'analisi degli elementi finiti', progettata in origine per studiare i materiali aereospaziali e capace di misurare le risposte biomeccaniche di un campione soggetto a determinate sollecitazioni".
I risultati dell'analisi sono stati sorprendenti: hanno mostrato infatti "significative analogie nelle performance micro-biomeccaniche in risposta alle stesse sollecitazioni" e quindi che l'uomo di Neandertal avesse teoricamente la capacità di parlare. I nostri risultati sui reperti confermano che l'osso ioide del Neandertal avesse lo stesso tipo di utilizzo e funzionamento dell'uomo moderno - ha concluso D'Anastasio - perciò pensare che avesse anche la stessa funzione sembra davvero la conclusione più ragionevole.
Ma ci sono anche altre evidenze che portano a pensare gli studiosi che Il Neandertal conoscesse il linguaggio: sembrerebbe infatti che i nostri antenati usassero dipingere le loro case e utilizzare resti animali come ornamento personale; tutte caratteristiche che fino a poco tempo fa veniva attribuite solo all'Homo Sapiens. "Forse i Neanderthal potevano anche ballare e cantare al suono della musica - ha aggiunto Claudio Tuniz, un altro scienziato coinvolto nello studio - come suggeriscono i nostri studi recenti sul flauto ricavato dal femore di un orso trovato in Slovenia in un sito che era frequentato dall'uomo di Neanderthal 60 millenni fa". Credit Repubblica