venerdì 24 febbraio 2017

LA SCUOLA MEDIA E LA COSTITUZIONE

E' il 31 dicembre 1962: da appena un mese è stata portata a termine dal quarto governo Fanfani la nazionalizzazione dell'energia elettrica, mentre ora, con la legge n.1859, si va a istituire la nuova Scuola media unificata. Qualcuno l'ha definita la più importante riforma scolastica del dopoguerra e, dopo sessant'anni, è una definizione che tutto sommato le sta ancora a pennello.

Va detto subito che essa trova i suoi presupposti in alcuni articoli inattuati della Costituzione: nello specifico si dà finalmente seguito all'articolo 34 (istruzione obbligatoria per almeno otto anni) per cui si viene a prescrivere che la fascia dell'obbligo venga elevata fino all'età di 14 anni e abbia carattere gratuito.

Nell'intenzione del legislatore viene auspicato che questo segmento di istruzione sia chiamato a svolgere non già una funzione di filtro selettivo, come avveniva nella vecchia scuola media, bensì abbia il compito di formare su un ampio ventaglio di materie i preadolescenti, favorendo così la scelta del percorso a loro adatto nel successivo ciclo di studi .

Recita la legge infatti all'art.1: “La scuola media concorre a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione e favorisce l’orientamento dei giovani ai fini della scelta dell’attività successiva”. Infatti la nuova Scuola media riunifica in un unico ambito la molteplicità delle opzioni presenti dopo il ciclo primario che obbliga le famiglie a una scelta di vita sin troppo precoce.

Prima di allora, infatti, per la fascia di età compresa fra i 11 e 14 anni è prevista l'opzione tra una scuola media triennale, istituita dalla riforma Bottai nel 1940, cui si accede con un impegnativo esame di ammissione, e altre specializzazioni professionalizzanti, tutte di derivazione gentiliana. Il problema è però che mentre la prima opportunità consente il successivo proseguimento degli studi in tutti i settori dell'istruzione secondaria superiore, l'altra scelta non lo permette.

Si tratta, in questo secondo caso, e fondamentalmente stiamo parlando di ambiti riservati alle fasce sociali meno abbienti, di optare o per i corsi di avviamento professionale o per i percorsi di scuola post-elementare. Scelte che però vincolano l'eventuale proseguimento degli studi solamente alle scuole e agli istituti professionali; un'opzione quindi che, impedendo all'utenza di vivere la scuola come una reale opportunità di crescita sociale, si pone in contrasto con lo spirito egualitario teorizzato dell'articolo 3 della Costituzione, il quale afferma invece l'importanza di assicurare pari dignità e opportunità a tutti i cittadini (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale […] è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che […] impediscono il pieno sviluppo della persona umana”).

Ma non è tutto. La nuova legge abolisce anche l'esame di ammissione alla scuola media, mentre la Licenza media conseguita con il superamento dell'esame finale, consente la successiva iscrizione a tutti i tipi di istruzione superiore. Contestualmente viene posto fuori legge il lavoro minorile, anche sotto forma di apprendistato, per i minori di 14 anni: la legge 1859 si pone dunque a fondamento di quella scolarizzazione di massa che l'Italia perseguirà, con notevole successo, a partire dagli anni sessanta.

Sul piano politico in Parlamento si registra un'ampia convergenza di tutte le forze politiche sul disegno di legge voluto dall'allora ministro Luigi Gui. La vexata quaestio del latino ( i fautori: 'perché insegna a ragionare', i detrattori: 'perché è una lingua morta') vede la DC e il PSI inizialmente contrapposti: DC per il sì PSI, e in particolare Pietro Nenni, per il no. Il braccio di ferro si conclude con un compromesso: latino obbligatorio per tutti in seconda media e facoltativo in terza, per chi ha intenzione di iscriversi poi al liceo classico.

Un compromesso che in realtà scontenta tutti e che alla fine porterà nel 1977 (l.348) all'abolizione del latino dalla scuola media come materia obbligatoria.
Per concludere questa riflessione in occasione dei 50 anni dal varo della nuova scuola media (o scuola secondaria di I grado, come l'ha ridefinita il d. l.vo 59/2004, attuativo dell’art. 1 della l. 53/2003) vogliamo ricordare quanto attuale ancora sia ancora il dibattito sulle vere o presunte responsabilità di questo segmento scolastico in relazione ai deludenti livelli degli apprendimenti denunciati dagli studenti italiani nelle periodiche rilevazioni internazionali e nazionali (OCSE PISA, TIMSS, INVALSI).

Una polemica che viene da molto lontano se si ricorda che proprio all'indomani della riforma della legge 1859/62 gli insegnanti liceali insorgono dal momento che la scuola media viene meno alla sua originaria funzione di scuola secondaria inferiore che assolve una funzione preparatoria in relazione al grado scolastico superiore.

Proprio a seguito della riforma del 1962, essa svolgerà da quel momento in poi una funzione più a carattere formativo (orientato a offrire occasioni di sviluppo della personalità in tutte le direzioni) che solo propedeutico in relazione ai successivi gradi scolastici, come espressamente ribadito nella premessa ai nuovi programmi del 1979 (dove si afferma che: [la scuola media] non è finalizzata all'accesso alla scuola secondaria di secondo grado pur costituendo il presupposto indispensabile per ogni ulteriore impegno scolastico) e dunque meno propensa ad appiattirsi su una funzione meramente 'ginnasiale' come di fatto accadeva nella vecchia scuola media della riforma Bottai del 1940. Credit Encyclopedia Treccani