giovedì 18 agosto 2016

TROVATA UNA QUINTA FORZA DELLA NATURA?

Trovata una quinta forza della natura?

Un’anomalia nel decadimento radioattivo di un isotopo del berillio potrebbe implicare l’esistenza di una quinta forza fondamentale. Ma è ancora presto per dirlo con certezza


Elettromagnetica, gravitazionale, nucleare forte e nucleare debole. Sono le quattro forze fondamentali della natura di cui si legge in tutti i testi di fisica. Forse, però, è arrivato il momento di un addendum. Gli scienziati dello Institute for Nuclear Research alla Hungarian Academy of Sciences, coordinati da Attila Krasznahorkay, hanno infatti rilevato, nel corso di un esperimento condotto lo scorso anno in Ungheria, un’anomalia nel decadimento radioattivo di un isotopo del berillio (il berillio 8, per la precisione, altamente instabile) che potrebbe essere la manifestazione di una quinta forza fondamentale della natura.

I risultati dell’esperimento, come raccontato sul blog di Nature, erano stati originariamente caricati sul server di pre-print ArXiv, e poi, a gennaio 2016, pubblicati su Physical Review Letters: nell’articolo, gli autori della ricerca postulavano, tra le altre cose, l’esistenza di una nuova particella leggera – appena 34 volte più pesante dell’elettrone –, ma il lavoro era rimasto stranamente inosservato.

Almeno fino al 25 aprile scorso, quando un’équipe di fisici teorici statunitensi ha pubblicato, sempre su ArXiv, un’analisi del lavoro ungherese, mostrando che i dati non sono in conflitto con quelli emersi dagli esperimenti precedenti, e concludendo che potrebbero essere, per l’appunto, la manifestazione di una quinta forza fondamentale: “Praticamente”, ha commentato Jonathan Feng, della University of California, Irvine, “abbiamo portato alla luce un lavoro che era rimasto nell’oscurità”.

Già da tempo, in realtà, i fisici si stanno interrogando sulla possibilità che esistano altre forze oltre alle quattro già note. Tali forze potrebbero servire, per esempio, a colmare le lacune del modello standard delle particelle elementari, che descrive efficacemente le interazioni tra le particelle attualmente conosciute ma non dice niente sulla materia oscura, la sostanza invisibile che si ritiene componga l’80% dell’Universo conosciuto. Una possibile spiegazione coinvolge l’esistenza di altre particelle e altri vettori di forze, tra cui i cosiddetti fotoni oscuri, ipotetici controparti dei fotoni tradizionali, mediatori della forza elettromagnetica.

È proprio su queste bizzarre entità che si è concentrata l’équipe di Krasznahorkay. Gli scienziati hanno fatto collidere fasci di protoni su un bersaglio di litio 7, creando nuclei di berillio instabile, che sono decaduti emettendo coppie di elettroni e positroni. “Secondo il modello standard”, spiega ancora Nature, “i fisici avrebbero dovuto osservare che il numero di coppie elettroni-positroni diminuisce all’aumentare dell’angolo che separa le loro traiettorie”. In corrispondenza di un angolo di 140°, invece, gli scienziati hanno osservato un salto nel numero di emissioni di elettroni e positroni, che poi torna a scendere per angoli più alti.

Secondo Krasznahorkay, il salto è la prova del fatto che una piccola frazione dei nuclei di berillio usa la propria energia in eccesso per formare una nuova particella (dal peso di circa 17 MegaelettronVolt), che poi, a sua volta, decade in una coppia elettrone-positrone: “Siamo certi dei nostri dati”, ha detto Krasznahorkay. “Il nostro team ha ripetuto l’esperimento diverse volte negli ultimi tre anni per minimizzare le possibilità di errore. La probabilità di osservare un falso positivo è di una su duecento miliardi”. Sebbene secondo l’équipe ungherese l’anomalia sia dovuta a un protone oscuro, Feng e colleghi la pensano diversamente: la particella potrebbe essere un “bosone X protofobico”. Ovvero, in sostanza, una particella mediatrice di una forza a corto raggio che interagisce con elettroni e neutroni. L’esperimento DarkLight, che sta per partire al Jefferson Laboratory, dovrebbe aiutare a chiarire l’arcano: è stato progettato, infatti, per cercare particelle di energia compresa tra 10 e 100 MegaelettronVolt. Proprio nel range dell’ipotetico protone oscuro o bosone X che dir si voglia. Staremo a vedere.

Nucleo dell'atomo e sue dimensioni

L'evoluzione del cervello? Tutto merito della cottura

L'evoluzione del cervello? Tutto merito della cottura

Homo erectus fu il primo dei nostri antenati a cuocere i cibi: questa pratica consentì di ricavare più calorie dalle sostanze consumate e di diminuire di conseguenza le ore dedicate all'alimentazione. Furono così superate, secondo una tesi avanzata da un nuovo studio, le limitazioni metaboliche che negli altri primati non ha permesso uno sviluppo del numero di neuroni e delle dimensioni del cervello proporzionale alle dimensioni corporee.

Quanto più è elevata la massa corporea, tanto più lo è la massa del cervello. Questa semplice legge evolutiva si ricava scorrendo l'albero filogenetico dei mammiferi. Ma perché l'uomo si distacca da questa legge di proporzionalità, con un cervello che per dimensioni e numero di neuroni non ha paragoni tra le grandi scimmie e tuttavia ha un corpo di dimensioni più limitate?

La risposta viene da un articolo apparso su PNAS: il fattore determinante è di natura metabolica, ed è il risultato di un compromesso tra il tempo disponibile per procurarsi il cibo e il consumo energetico del cervello.

Secondo quanto riportato dagli autori dello studio Karina Fonseca-Azevedo e Suzana Herculano-Houzel dell'Instituto de Ciências Biomédicas dell'Universidade Federal do Rio de Janeiro, in Brasile, l'essere umano detiene il record del numero di neuroni rispetto a tutti i primati, e a maggior ragione anche rispetto agli altri mammiferi; tre volte più di gorilla e urangutan, che a loro volta sono i più dotati tra i primati non umani. Le due specie, tuttavia, ci sovrastano per massa corporea; i gorilla, in particolare, possono arrivare a a pesare il triplo di un uomo.

Questa discrepanza tra corpo e cervello ha portato a teorizzare che il processo di encefalizzazione, cioè di sviluppo del cervello non proporzionale al resto del corpo, sia una caratteristica peculiare dell'essere umano, accompagnata con tutta evidenza da uno sviluppo delle capacità cognitive senza confronto anche tra le grandi scimmie.

Ma bastano le capacità intellettive a giustificare l'encefalizzazione? Gli autori ritengono di no. L'eccezione alla legge di proporzionalità tra cervello e corpo dev'essere considerata come un indizio del fatto che a un certo punto nell'evoluzione dei primati
si è trovata di fronte a un bivio: o sviluppare il corpo o sviluppare il cervello. Le due cose non potevano coesistere per motivi metabolici.

In termini di consumo energetico, il cervello umano è al terzo posto tra i diversi organi, dopo i muscoli scheletrici e il fegato. Percentualmente, in condizioni di riposo, il cervello è responsabile del 20 per cento del dispendio energetico complessivo (negli altri primati non supera il 9 per cento), sebbene rappresenti il 2 per cento della massa corporea complessiva.

Che cosa ha rappresentato una simile fabbisogno energetico per l'evoluzione degli antenati dell'uomo? Sicuramente una limitazione, che le due ricercatrici brasiliane hanno stimato quantitativamente. Se si guarda ai mammiferi, un corpo, e di conseguenza un cervello più grandi corrispondono a un metabolismo basale che aumenta secondo una legge di potenza il cui esponente è intorno a 0,75. E quanto più è alto il fabbisogno energetico, tanto più tempo la specie dovra impiegare per alimentarsi, tempo che però è limitato da diversi fattori, quali la disponibilità di cibo, il tempo di ingestione e di digestione, nonché dal contenuto calorico di quanto consumato.

L'elevato numero di ore dedicate alla ricerca di cibo e il basso contenuto calorico dei cibi crudi imponeva di raggiungere un compromesso tra massa corporea e numero di neuroni, che spiegherebbe le dimensioni relative del cervello delle grandi scimmie. Queste limitazioni furono probabilmente superate da Homo erectus con il passaggio al consumo di cibi cotti. Questi, rendendo disponibile una maggiore quantità di calorie rispetto ai cibi crudi, hanno permesso di ridurre il tempo necessario alla ricerca di cibo, rendendo meno stringente la necessità di un compromesso metabolico e aprendo la strada a un rapido incremento delle dimensioni cerebali nella successiva evoluzione umana. Credit Le Scienze

1 Ricostruzione dell'Australopiteco
Lucy

2 Teschio di Homo erectus ritrovato a Koobi Fora, in Kenya. La cottura dei cibi, praticata per la prima volta nell'evoluzione umana, ha permesso a questa specie un enorme progresso nel numero di neuroni e nelle dimensioni del cervello (© Carolina Biological/Visuals Unlimited/Corbis)

3 Teschi di grandi scimmie a confronto in un laboratorio (© Albert Lleal/Minden Pictures/Corbis)

4 Le prime scimmie antropomorfe si sono staccate dalle proscimmie 35 milioni di anni fa!

IL SETTEBELLO DEI SOGNI

Sembrava un'astronave o la plancia di Star Trek l'elettrotreno Settebello negli anni '60! Vanto dell'Italia del boom! Oggi l'unico esemplare dei tre Etr 300 non smantellati è stato per anni abbandonato sui binari di Falconara Marittima (Ancona). Ora il Settebello, il treno simbolo del benessere degli italiani e del boom economico tra gli anni '50 e '60 è stato trasferito alle officine di Voghera per essere ripulito e restaurato. Un viaggio notturno, organizzato dalla Fondazione Fs che punta a trasformare il Settebello in un treno per il turismo di lusso. "Gli interni originali l'Italia li ha buttati via negli anni '80 ora sono al Moma di New York! Gli italiani buttano via tutto, rottamano! Nessun treno come questo è una vera opera d'arte, ma gli americani sono lungimiranti! Invece di gettarlo hanno pensato bene di sistemarlo nel Museo d'arte moderna più famoso del mondo! Guarda caso!

lunedì 15 agosto 2016

IL RUOLO DELL'ITALIA NELLA SCOPERTA DELLE ONDE GRAVITAZIONALI


La scienza italiana ha un ruolo di primo piano nella scoperta delle onde gravitazionali che, oltre a coinvolgere decine di nostri ricercatori, è stata possibile grazie a un progetto ideato e sviluppato proprio in Italia, in collaborazione con altre nazioni.

L'Italia e i suoi centri di ricerca hanno avuto un ruolo di primissimo piano nella scoperta delle onde gravitazionali, a partire dall'esistenza stessa di VIRGO, nato dall'idea dell'italiano Adalberto Giazotto dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN) e del francese Alain Brillet, e che oggi è una collaborazione scientifica internazionale che conta circa 250 fisici e ingegneri provenienti da 19 laboratori europei, di cui circa metà dell'INFN.

“Ho accolto questa notizia con grande gioia – ha infatti commentato Giazotto – sono molto contento di questo risultato, che rappresenta il coronamento di una linea di ricerca che avevamo iniziato noi di VIRGO decine di anni fa. Siamo stati i primi a dire che era necessario costruire un rivelatore capace di osservare onde gravitazionali anche di bassa frequenza: è stato il più grande avanzamento nella tecnologia degli interferometri da quando si sono iniziati a realizzare questi rivelatori, negli anni '80 del Novecento. VIRGO è stato, infatti, il primo rivelatore al mondo capace di scendere alle basse frequenze, cui ha fatto seguito il progetto americano Advanced LIGO”.

“Questo risultato rappresenta una pietra miliare nella storia della fisica, ma ancor più è l’inizio di un nuovo capitolo per l’astrofisica, – ha spiegato Fulvio Ricci, ricercatore dell'INFN e docente della Sapienza Università di Roma, che coordina la collaborazione internazionale VIRGO – perché nei prossimi anni continueranno ad arrivare altri importanti risultati dagli interferometri LIGO e VIRGO, che oggi sono organizzati in un’unica rete globale di rivelatori di onde gravitazionali”.

Grande soddisfazione è stata inoltre espressa dal presidente dell'INFN Fernando Ferroni, secondo il quale “questo risultato rappresenta un regalo speciale per il 100° compleanno della Relatività Generale, il sigillo finale sulla meravigliosa teoria che ci ha lasciato il genio di Albert Einstein” ma è anche "una scoperta che premia il gruppo di scienziati che ha perseguito questa ricerca per decenni, cui l’Italia ha dato un grande contributo, figlio di quella scuola che negli anni ‘70 del secolo scorso si formò intorno alle figure di Edoardo Amaldi, Guido Pizzella, Adalberto Giazotto." Credit Le Scienze 

Virgo è un rivelatore interferometrico di onde gravitazionali del tipo interferometro di Michelson, con bracci lunghi 3 km, situato nel comune di Cascina (PI), in località Santo Stefano a Macerata. La costruzione dell'apparecchiatura è terminata nel 2003.

venerdì 12 agosto 2016

RESTI DI SUPERNOVA SULLA TERRA

Resti di supernova sulla Terra

Grazie a una tecnica ad alta precisione, chiamata spettroscopia di massa con acceleratore, un team di ricercatori è riuscito a rilevare e datare con precisione i depositi di ferro-60 presenti nei fondali dell’Oceano Pacifico. I risultati dimostrano che 2.7 milioni di anni fa la Terra ha attraversato un resto di supernova

Quando esplode una supernova di tipo II, ovvero quando una stella massiccia termina la propria vita, si scatena un’energia tale da generare gli elementi più pesanti dell’Universo. Tra questi c’è il ferro-60, un radioisotopo per il quale non esistono, sul nostro pianeta, meccanismi di produzione naturali. La rilevazione di ferro-60 all’interno di campioni di roccia terrestri, dunque, dimostra che il materiale studiato proviene da un’esplosione di supernova.

Un team di ricercatori è riuscito a rilevare la presenza di ferro-60 in materiale estratto da carotaggi nei fondali dell’Oceano Pacifico, ed è riuscito a datare l’arrivo di questo materiale a 2.7 milioni di anni fa. Secondo le analisi, presentate in un articolo pubblicato di recente su Proceedings of the National Academy of Sciences, il Sistema solare in quell’epoca ha iniziato ad attraversare un resto di supernova, e ha continuato a transitarvi per circa un milione di anni.

I resti di supernova sono ciò che rimane in seguito all’esplosione come supernova di una stella massiccia, ovvero con massa superiore alle 8-10 volte la massa del Sole. Quando stelle di questa taglia consumano tutto il combustibile a loro disposizione e terminano la fase di vita stabile, collassano sotto l’effetto della propria gravità e producono le cosiddette supernove da collasso del nucleo. Se una supernova di questo tipo si verifica abbastanza vicino al Sistema solare, può capitare che arrivino sulla Terra residui di quell’esplosione sotto forma di isotopi particolari, tra cui il ferro-60.

Un eccesso di ferro-60 era già stato osservato in campioni datati a due milioni di anni fa, estratti sempre dall’Oceano Pacifico, e più di recente, anche in materiali lunari. Il segnale di ferro-60 rilevato in quei campioni era stato attribuito a materiale prodotto da una supernova, ma la risoluzione temporale era molto povera, e non aveva permesso di ottenere una datazione precisa.

Ora, per la prima volta, i ricercatori sono riusciti a rilevare con precisione le tempistiche del segnale dovuto al resto di supernova, a partire da carotaggi nel Pacifico. L’inizio del segnale è riconducibile a circa 2.7 milioni di anni fa, è centrato attorno a 2.2 milioni di anni fa, e si può dire significativamente concluso a 1.7 milioni di anni fa.

Per poter analizzare la struttura temporale del ferro-60 presente nei campioni terrestri è necessario un campione geologico con una risoluzione stratigrafica eccellente, un’ottima estrazione del ferro-60 e una sua bassa mobilità, in modo da poter conservare il ferro-60 il più possibile com’era al tempo in cui si è depositato, al di là del suo naturale decadimento.

Tutte queste condizioni sono soddisfatte nei sedimenti marini del Pacifico utilizzati in questo studio, poiché i materiali raccolti sono cresciuti con un tasso di sedimentazione costante, preservando le informazioni temporali sul segnale dovuto alla supernova. «Nonostante questo, la concentrazione di ferro-60 nei fossili è così bassa da risultare rilevabile solo attraverso l’utilizzo della tecnica ad alta sensibilità chiamata spettroscopia di massa con acceleratore», dice Peter Ludwig, ricercatore presso la Technical University of Munich e primo autore dell’articolo. I ricercatori hanno utilizzato l’acceleratore presente presso i Maier-Leibnitz Laboratory di Garching, in Germania, ottenendo le misure che hanno permesso di estrarre il ferro-60 dai campioni.

Nello studio è stato possibile risalire anche al tipo di stella progenitrice per la supernova, identificando nell’associazione Scorpius-Centaurus la sede più probabile. L’associazione Scorpius-Centaurus è un gruppo di stelle di classe spettrale OB (le più grandi che esistono) attualmente a circa 400 anni luce da noi. L’analisi del suo moto relativo hanno rivelato che 2.3 milioni di anni fa questo gruppo si trovava a circa 300 anni luce dal sistema solare, e che nel corso degli ultimi 10-15 milioni di anni ha sperimentato l’esplosione di un numero di supernovae che va da 15 a 20. Oltre a produrre gli elementi pesanti osservati, questa serie di esplosioni ha generato una cavità nel braccio di Orione della Via Lattea. Gli astronomi hanno soprannominato questa cavità la “bolla locale”.
Credit INAF

1 La supernova prima dell'esplosione e dopo l'esplosione del 1987! La stella era il puntino indicato dalla freccia! Tutto questo in una galassia a noi vicina nelle nubi di Magellano

2 Ecco quello che si osserva adesso dopo quasi 30 anni dal telescopio spaziale Hubble! 


martedì 9 agosto 2016

L'ALITO DELLA MAGNA GRECIA

L'ALITO DELLA MAGNA GRECIA!

Paestum di notte! Avere la Magna Grecia a un tiro di schioppo è un privilegio! Aggirarsi come fantasmi tra le luci abbaglianti è un'esperienza unica al mondo! Pensare che l'essenza del paese che ha dato i natali alla democrazia sia quasi sotto casa è sublime! Ascoltare le tragedie di Sofocle, Euripide, Tucidide sulla bocca di attori antichi è stupefacente! Diceva il mio amico Renato "Andiamo a respirare l'aria dei nostri padri" e in moto ci si fermava nella zona dei templi! Tra il canto dei grilli e la brezza marina sognavamo di Achille il piè veloce o di Elena di Troia! Di questi intrepidi mercanti e colonizzatori che fecero proprio il mediterraneo fino alle colonne d'Ercole!

Le meraviglie di Roma antica

Le meraviglie della Roma antica! Cesare e i gatti

Tutti sappiamo che Giulio Cesare fu vittima di una congiura ordita dal figlioccio Marco Giunio Bruto. Ma dove avvenne l'omicidio? Ci sarete passati molti volte, a Roma: Cesare fu pugnalato da Bruto, mentre presiedeva una riunione di senatori, nella Curia di Pompeo, nell'attuale area archeologica di largo di Torre Argentina, uno dei luoghi più trafficati di Roma, famoso anche per essere abitato da una numerosa colonia di… gatti. Solo di recente (nel 2012) dei ricercatori hanno scoperto il punto preciso dove avvenne il parricidio di Cesare: è indicato da una lastra di cemento di tre metri per due, voluta da Ottaviano Augusto per ricordare il padre adottivo e tramandare ai posteri la condanna del suo assassinio. Credit Focus

mercoledì 3 agosto 2016

Raggi gamma e minacce aliene!

WR-104: la Stella che minaccia la Terra con un fascio di raggi gamma       

L’uomo è da sempre affascinato dall’immensa bellezza di un limpido cielo stellato. Allo stesso tempo però, egli non sospetta che proprio quel manto pieno di stelle possa nascondere insidie in grado di minacciare l’intero Pianeta. I pericoli provengono da corpi celesti impensabili, come nel caso di Wr-104, una stella facente parte della costellazione del Sagittario.

La Terra sarebbe nel mirino di un “fucile cosmico” pronto a “sparare” raggi gamma direttamente sulla sua superficie. E non si tratta di un film di fantascienza, come potrebbe sembrare, bensì di una minaccia vera e propria.

Wr-104 fa parte di un sistema binario composto da due stelle che ruotano vorticosamente l’una accanto all’altra in una sorta di danza altamente coreografica: i venti stellari dei due astri, generano una spettacolare quanto rarissima nube a spirale, la cui estensione potrebbe coprire una distanza pari a 20 volte il Sistema Solare.

Purtroppo però una simile meraviglia nasconde un tragico quanto letale epilogo: l’oggetto Wr-104 è infatti al termine della sua vita e rischia di degenerare da un momento all’altro in una cosiddetta supernova, immensa esplosione che porterebbe al collasso dell’intero astro con conseguente formazione di un buco nero. Viste le elevatissime distanze, fortunatamente per noi, né l’esplosione in sé, né tantomeno l’eventuale buco nero risulterebbero un pericolo per il nostro pianeta.

La domanda è da dove derivi allora tutta questa preoccupazione?

La risposta è semplice. In vari casi può accadere che l’esplosione di una stella particolarmente massiccia in una supernova generi un devastante lampo gamma, ovvero un fascio altamente energetico di raggi gamma la cui straordinaria intensità farebbe impallidire qualsiasi altro fenomeno dell’Universo.

Questa stella è stata scoperta nel 1998 e, anche se attualmente è posizionata ad 8.000 anni luce di distanza, è probabile che un suo collasso porterebbe all’espulsione di raggi estremamente pericolosi per il nostro dna.
Grant Hill, astronomo presso l’Osservatorio Keck nelle Hawaii, ha affermato che un recente studio condotto sulla stella, avrebbe dimostrato che ci siano, effettivamente, delle possibilità che questi raggi gamma raggiungano la Terra. Tutto dipende dalla rotazione della Terra stessa.

Gli scienziati hanno scoperto che la stella Wr-104 è in grado di distruggere un quarto dello strato di ozono presente sul nostro Pianeta. Tuttavia, essi hanno specificato che è anche possibile che la stessa, formando una nebulosa planetaria, non emetta potenti getti di radiazione gamma e gli effetti sulla Terra siano quindi trascurabili.

L'energia dei raggi gamma rilasciata in pochi secondi sarebbe pari a tutta l’energia prodotta dal nostro Sole nell’arco della sua intera esistenza.

La Wr-104 è una stella che appartiene alla categoria Wolf-Rayet, dal nome degli astronomi francesi C.J. Wolfe e G. Rayet che fecero la scoperta nel 1867. Si tratta di stelle molto calde, tra 25.000 e 50.000 gradi, con masse superiori a 20 volte quelle del nostro Sole e caratterizzate da una forte emissione di vento stellare.

Dalle osservazioni, i corpi di questa categoria arrivano ad emettere fino ad un miliardo di volte la quantità di massa emessa dal Sole ogni anno. Questo solo per capire quanto siano attive le stelle di questa categoria. Si tratta di corpi abbastanza rari nell’universo rispetto ad altre tipologie. Fino ad oggi sono state osservate soltanto 230 Wolf-Rayet nella nostra Galassia.

La Terra potrebbe dunque essere spazzata via come in uno dei più catastrofici film di fantascienza ambientati in un futuro prossimo. Singolare che la minaccia giunga proprio da una stella morente: un fascio di luce che sempre ricerchiamo quando, di notte, ammiriamo il cielo.

GIOVE e la geometria astronomica babilonese

Giove e la geometria astronomica dei Babilonesi

Una scoperta che rivoluziona i libri di testo: per calcolare la posizione di Giove gli studiosi dell'antica Babilonia usavano una tecnica matematica che si riteneva sviluppata a Oxford solo nel XIV secolo

Alcune tavolette tradotte di recente dimostrano che gli astronomi babilonesi ricorrevano a una forma avanzata di geometria per leggere il cielo.
La scoperta, pubblicata sulla rivista Science, rivela che i babilonesi erano in grado di prevedere la posizione in cielo del pianeta utilizzando figure geometriche come i trapezi. Le tavolette infatti contengono istruzioni attraverso le quali, calcolando delle aree di una specifica figura trapezoidale, si potevano determinare le posizioni di Giove lungo l’eclittica per i successivi 60 e 120 giorni, a partire da un determinato giorno in cui il pianeta faceva la sua comparsa appena prima dell’alba, come stella del mattino. Una scoperta stupefacente, che ci obbliga a riscrivere i libri di storia: finora infatti si riteneva che questa tecnica fosse stata inventata a Oxford, in Inghilterra, oltre un millennio dopo.

Pionieri della scienza

I ricercatori sanno da tempo che gli antichi Babilonesi, che abitavano l'attuale Iraq, possedevano notevoli conoscenze matematiche: erano in grado ad esempio di calcolare con un buon livello di approssimazione

la radice quadrata di 2 e utilizzavano il teorema di Pitagora già un millennio prima della nascita del matematico greco che gli ha dato il nome, quasi 4.000 anni fa.
Erano anche astronomi di talento, che riuscivano a documentare con le osservazione notturne fenomeni come il passaggio della cometa di Halley, e ricorrevano ai calcoli aritmetici per le loro previsioni astronomiche.

Nessuno però finora si era imbattuto in un calcolo astronomico babilonese che testimoniasse la loro straordinaria conoscenza della geometria pura. Ci è riuscito Mathieu Ossendrijver dell'Università Humboldt di Berlino, dopo aver trascorso 13 anni cercando di decifrare "quattro bizzarri calcoli sui trapezi” risalenti a 2.000-2.400 anni fa.

Ossendrijver è stato il primo ad accorgersi che le tavolette, conservate al British Museum fin dal 1880 circa - avevano a che fare con Giove. Ma senza conoscere il modo il cui i Babilonesi codificavano alcune posizioni del pianeta, come la sua comparsa all'orizzonte, quelle iscrizioni sembravano non avere alcun senso.

Alla fine però Ossendrijver è riuscito a trovare nella sterminata collezione del museo una tavoletta intatta e non ancora decifrata che descriveva l'intero movimento di Giove nel cielo, consentendogli così di ricostruire anche il significato delle altre tavolette.

Le sue traduzioni rivelano che gli astronomi babilonesi ricorrevano ai trapezi per rappresentare in maniera astratta velocità, tempo e posizione. Per scoprire la distanza coperta dal pianeta tra un avvistamento e l'altro, ad esempio, i babilonesi misuravano l'apparente velocità nel cielo durante ogni avvistamento, ne calcolavano la media, dopodiché moltiplicavano la velocità media per il tempo trascorso tra un avvistamento e l'altro. Le tavolette mettono in relazione diretta questa formula con il calcolo dell'area del trapezio, con i lati che rappresentano le velocità e il tempo trascorso.

Iceberg matematico

Le conoscenze dei Babilonesi oscurano quelle degli astronomi greci ed egizi loro contemporanei, ma quel che è più sorprendente, rispecchiano in maniera sbolorditiva il teorema della velocità media sviluppato da un gruppo di matematici inglesi nel XIV secolo noto come gli Oxford Calculators (i calcolatori di Oxford), quasi tutti iscritti al Merton College di Oxford e perciò soprannominati la Scuola di Merton.

La scoperta delle tavolette rappresenta probabilmente solo la punta di un iceberg matematico. “Ci sono migliaia di tavolette disseminate nei musei che non sono mai state tradotte”, dice Ossendrijver. “Non solo: spesso siamo in grado di tradurle ma di comprenderne il significato solo in un momento successivo".