domenica 31 luglio 2016

Il microscopio che vede dentro gli atomi

Questo microscopio riesce a vedere fin dentro gli atomi

I nostri dispositivi elettronici diventano ogni giorno più piccoli, e così i materiali che usiamo per fabbricarli. Questo significa che è necessario vederli sempre più da vicino. Molto vicino. Un nuovo microscopio elettronico ha svelato, allo SuperSTEM facility, immagini di oggetti a una risoluzione inedita, riuscendo a raggiungere il livello degli atomi.

SuperSTEM ha tre microscopi elettronici che possono essere usati dagli scienziati britannici. L’ultimo è stato presentato il mese scorso: un Nion Hermes Scanning Transmission Electron Microscope da 3.7 milioni di sterline, uno dei tre esemplari al mondo. Può catturare immagini un milione di volte più piccole di un capello umano.

“Essenzialmente riusciamo a guardare dentro i materiali o alla maggior parte delle cose che mettiamo sotto il microscopio fino alla scala atomica,” ha detto Quentin Ramasse, direttore scientifico del laboratorio SuperSTEM. “In questo modo possiamo vedere i singoli atomi.”

I microscopi atomici usano un raggio di elettroni piuttosto che di fotoni, come avviene nei normali microscopi. Avendo una lunghezza d’onda inferiore rispetto ai fotoni, gli elettroni permettono un ingrandimento maggiore e una migliore risoluzione.

Perché dovresti voler vedere qualcosa così dettagliatamente? La risposta più ovvia, ha detto Ramasse, è che cerchiamo sempre di miniaturizzare i dispositivi, il che significa che dobbiamo miniaturizzare anche parti come i transistor e i semiconduttori” e questo vuol dire che c’è bisogno di disegnare materiali o componenti di materiali piccolissimi.”

Si arriva al punto in cui modificare un materiale anche di un atomo o due potrebbe cambiare le sue proprietà. Basta pensare al grafene, per esempio, che è un foglio bidimensionale di atomi di carbonio. Aggiungi un atomo qua e là e hai cambiato il materiale e modificato potenzialmente le sue proprietà. Riuscire a vederne l’esatta struttura è importantissimo.

Un progetto SuperSTEM è stato coinvolto nello studio di un altro materiale in 2D, il solfuro di molibdeno, che può essere usato come catalizzatore industriale, per esempio per rimuovere il solfuro dai combustibili fossili. L’azienda chimica danese Haldor Topsoe ha usato il microscopio elettronico per capire come il riordino dei suoi atomi possa influire sulle proprietà catalitiche. In poche parole, la questione riguarda la possibilità di vedere cosa c’è davvero a livello atomico.

Altre applicazioni potrebbero includere la nanomedicina—Ramasse ha fatto un esempio sulla necessità di controllare che le molecole dei farmaci siano sufficientemente attaccate alle nanoparticelle che le trasportano, per “essere sicuri che il legame sia solido e che il farmaco non sparisca all’interno del corpo.”

E se le applicazioni più ovvie riguardano la chimica, dice che i microscopi elettronici sono utilizzati anche per “altre cose un po’ più in là,” tipo per guardare la struttura cristallina della polvere dei meteoriti. Un avvicinarsi per andare lontani. Credit Motherboard

1 Il nano-vuoto sfaccettato di un diamante. SuperSTEM è stato usato per capire le origini del colore marrone naturale dei diamanti. Immagine: I Godfrey (SuperSTEM Laboratory, University of Manchester)

2 Micrografo elettronico HAADF di un precipitato di argento e rame in una lega di alluminio. Immagine: F S Hage, D M Kepaptsoglou, Q M Ramasse, SuperSTEM Laboratory and S Wenner (Norwegian Technical National University, Trondheim) 

3 Micrografo elettronico HAADF di un puro foglio di grafene. Ogni punto dell’immagine è un singolo atomo di carbonio. Immagine: Q M Ramasse, D M Kepapstoglou, SuperSTEM Laboratory

4 Un singolo atomo denso di solfuro di molibdeno. Immagine: Q M Ramasse (SuperSTEM Laboratory), L Hansen and S Helveg (Haldor Topsoe A/S)

sabato 30 luglio 2016

La sonda Curiosity su Marte ha un problema!

Il rover della Nasa è in safe mode: si tratta forse di un blocco del software, ma i tecnici del controllo missione sembrano ottimisti.

Non è la prima volta che succede, ma questa volta il problema sembra un po' più serio: Curiosity, il rover della Nasa su Marte dal 2012, è entrato in safe mode, ossia in una situazione di stallo dove il computer di bordo ha sospeso ogni attività di ricerca perché ha rilevato una anomalia importante.

In questa condizione il rover pensa solo a mantenere le comunicazioni con la Terra e a mantenere la temperatura per preservare strumenti e sistemi di bordo.

Non è chiaro cosa sia avvenuto, anche se dai primi dati sembra che vi sia un problema tecnico tra il software di elaborazione della fotocamera e i dati che arrivano ad esso. Al momento, però, ciò che rassicura in parte i ricercatori del team di controllo a Terra è il fatto che Curiosity comunica, e dunque c’è un continuo scambio di informazioni. A questo punto, per i tecnici la priorità è, naturalmente, venire a capo del problema e superarlo.

Le prossime tappe. Situazioni simili si sono già verificate per ben 3 volte nel 2013, quando, anche allora, ci furono problemi di software, teoricamente più semplici da risolvere, e infatti in quelle occasioni si riuscì a ripristinare il rover al 100 per cento.

In questo momento Curiosity si trova in prossimità di un’area dove sembrano esserci delle striature dovute (forse) all’evaporazione di acqua che lascia sul suolo tracce di sali, e l'obiettivo era ed è quello di analizzare quelle striature.

Non ci saranno campionamenti del suolo per evitare di contaminare il sito con eventuali batteri portati da Terra con il rover: si farà tutto attraverso l’analisi fotografica, nel momento in cui sarà superato l'attuale stallo.

Se tutto andrà bene, superato il problema e completata la ricerca, il rover inizierà a risalire il pendio del Monte Sharp, che si trova all’interno del cratere Gale: un percorso estremamente interessante, su strati che raccontano la storia di un passato lontanissimo, quando Marte era ricco di acqua.

venerdì 29 luglio 2016

Il robot che navigherà sui mari di Titano

Si è conclusa la prima fase di sperimentazione del Planetary Lake Lander che tra qualche anno potrebbe esplorare i mari di Titano in completa autonomia

Dove trovare un robot pronto a visitare un lago a un miliardo di chilometri di distanza? Nella Laguna Negra delle Ande Cilene, dove la NASA e gli scienziati del SETI Institute hanno testato un robot galleggiante i cui successori potranno paracadutarsi sui mari di Titano, la luna più grande di Saturno.

Non è piena di metano liquido e la sua temperatura non è di -182 gradi Celsius, ma per il resto la Laguna Negra è un'imitazione sufficientemente buona di un mare alieno. Questo perché è alimentata da ghiacciai, circondata da un ambiente sterile con un'atmosfera sottile ed è in una zona colpita da tempeste e valanghe, e circondata da vulcani.

A causa del riscaldamento globale, il lago glaciale è anche in rapida evoluzione, le condizioni ideali per un robot che deve imparare a riconoscere la variabilità di un ambiente liquido. Titano ha la particolarità di essere l'unico altro corpo del nostro sistema solare noto per avere liquido stabile sulla sua superficie. Questo liquido è in gran parte costituito da metano ed etano, ma il fatto che la luna abbia mari, laghi, pioggia e ghiacciai la rende più vicina alla Terra di qualunque altra cosa del nostro sistema solare.

Il team scientifico, guidato dall'astrobiologa del SETI Nathalie Cabrol, sta lavorando già da qualche anno al robot, ribattezzato Planetary Lake Lander: la sonda è stata lanciata per la prima volta nella Laguna Negra nel 2011. Il prototipo del robot ha trascorso gli ultimi due anni a esplorare l'ambiente circostante, determinando dimensioni e profondità del lago, misurandone il pH, e osservando tutti i fenomeni meteorologici.

Ma non è ancora pronto per lo spazio: gli strumenti del lander sono progettati per un ambiente terrestre, e la versione corrente è troppo pesante per essere inviata su Titano. Ma prima o poi lo sarà, ha detto Cabrol. Per fare un parallelo, "in questo momento siamo nella stessa fase in cui eravamo 10 o 15 anni fa, quando abbiamo iniziato a testare i rover di Marte nel deserto", ha detto.

Intelligenza artificiale

Durante l'ultimo inverno, il Lake Lander ha esplorato la Laguna Negra senza alcuna supervisione, ma il team del SETI Institute si sta preparando per una nuova visita sul campo entro pochi mesi, quando inizierà la parte più ambiziosa del progetto: aumentare l'intelligenza del robot.

Fino a ora, gli esploratori robotici extraplanetari sono stati pedissequamente controllati dal personale sulla Terra. Ma la comunicazione fra la Terra e Titano prenderebbe ore ogni volta, e il Lake Lander dovrà essere costruito con una certa autonomia decisionale e una sua capacità di problem-solving. Inoltre, a causa della pioggia e degli altri fenomeni meteorologici che avvengono su Titano, un robot del genere avrebbe bisogno di sapere quando qualcosa di insolito sta accadendo, in modo da fermare quello che sta facendo e cambiare l'oggetto delle sue osservazioni.

Per fare questo, il robot dovrà prendere confidenza con il suo ambiente "standard", e riuscire a rilevare quando succede qualcosa di anomalo. Ad esempio, se il robot fluttua vicino alla riva, dovrà essere in grado di capirlo e iniziare a fare fotografie, osservazioni e misurazioni scientifiche.

L'autonomia scientifica è un'evoluzione che probabilmente prenderà piede in tutti i futuri robot extraplanetari, non solo quelli destinati ad andare su Titano, spiega Cabrol. "Non stiamo solo costruendo un robot, ma una nuova generazione di robot", ha detto. "E la nuova generazione non starà lì ferma ad aspettare le nostre istruzioni".

La vita su Titano?

Nel gennaio 2005, la NASA e l'Agenzia spaziale europea (ESA) hanno già spedito su Titano la sonda Huygens, paracadutandola nella spessa atmosfera marrone di Titano. Atterrata su una zona ricoperta di appiccicoso fango di idrocarburi, i suoi dati sono stati trasmessi per più di 90 minuti prima che la sua batteria morisse e il suo segnale scomparisse del tutto.

Da allora, sono state proposte numerose missioni su Titano, tra cui un robot galleggiante per esplorare il mare in prossimità del Polo Nord del satellite. Tuttavia, tale proposta non ha ottenuto il finanziamento che doveva ricevere, perdendolo a favore di una nuova missione su Marte nel 2016.

La più grande luna di Saturno detiene un particolare interesse per la scienza a causa della possibilità che una qualche forma vita esista o sia esistita in passato. L'ingegnere capo del progetto del lander, Trey Smith, ha osservato che, a causa della particolare atmosfera e dei laghi di idrocarburi presenti su Titano, è probabile che "ci sia della chimica organica interessante da quelle parti".

"Nessun essere vivente che conosciamo sulla Terra potrebbe sopravvivere su Titano", ha detto, "ma questo non significa che non ci sia una qualche altra forma esotica di vita". Credit National Geographic

giovedì 28 luglio 2016

I vulcani del nostro Sistema Solare

I vulcani del nostro Sistema Solare: spicca il monte Olimpo, alto tre volte l’Everest


I vulcani non sono confinati alla Terra. Prove di attività vulcanica passata sono state trovate sulla maggior parte dei pianeti del nostro sistema solare e su molti dei loro satelliti. La nostra Luna ad esempio, mostra vaste aree ricoperte da antiche colate laviche che prendono il nome di mari; il più grande vulcano del Sistema Solare si trova su Marte e si chiama Monte Olimpo (alto circa 27.000 metri), mentre centinaia di caratteristiche vulcaniche sono state mappate sulla superficie di Venere.  Gli esempi appena elencati si sono formati milioni di anni fa, quando il nostro sistema solare era più giovane e i pianeti e le loro rispettive lune mostravano un’elevata temperatura interna. Attualmente le eruzioni, comprese quelle recenti, sono state individuate in tre località: su Io, satellite di Giove, su Tritone, satellite di Nettuno, e su Encelado, satellite di Saturno.  Il termine vulcano attivo è usato principalmente in riferimento ai vulcani della Terra. I vulcani attivi sono quelli attualmente in eruzione o che sono scoppiati in qualche momento della storia umana. Questa definizione funziona bene per i vulcani sulla Terra perché possiamo osservarli facilmente. Tuttavia, oltre la Terra le nostre capacità di rilevare le eruzioni vulcaniche sono cominciate soltanto con l’invenzione di potenti telescopi. Oggi, un certo numero di telescopi sono disponibili per rilevare queste eruzioni – se sono abbastanza grandi. Tuttavia piccole eruzioni non possono essere notate e non ci sono telescopi a sufficienza per guardare tutte le aree del sistema solare in cui un’attività vulcanica potrebbe verificarsi. Anche se sono state osservate soltanto poche eruzioni extraterrestri, molto si è imparato su di esse. La scoperta più importante è quella che sino ad ora sono state osservate eruzioni ben differenti da quelle presenti sul nostro pianeta.


I CRIOVULCANI – La maggior parte delle persone definiscono con il termine “vulcano”, un’apertura nella superficie terrestre attraverso la quale viene eruttato materiale di roccia fusa, dove si verificano fughe di gas e cenere. Questa definizione funziona bene per la Terra. Tuttavia, alcuni corpi del nostro sistema solare hanno una notevole quantità di gas nella loro composizione. I pianeti che orbitano vicino al Sole sono rocciosi e nei periodi remoti di attività avrebbero probabilmente prodotto magmi silicati simili a quelli visti sulla Terra. Oltre l’orbita di Marte, i satelliti contengono quantità significative di gas oltre alle rocce di silicati, per cui i vulcani in questa parte del nostro sistema solare sono spesso definiti criovulcani. Non eruttano cioè roccia fusa, ma gas freddi o congelati come l’acqua, l’ammoniaca o il metano. Io è il corpo vulcanicamente più attivo nel nostro sistema solare. E’in grado di sorprendere molti ricercatori, perché la sua distanza dal Sole e la sua superficie ghiacciata lo fanno sembrare un luogo molto freddo. In realtà è un mondo notevolmente influenzato dalle forze mareali del gigante del sistema solare Giove. L’attrazione gravitazionale di Giove e dei suoi satelliti deforma continuamente Io nel suo interno, il quale subisce un grande attrito che tende a surriscaldarlo e che consente quindi un’intensa attività vulcanica. Io dispone di centinaia di crateri vulcanici, alcuni dei quali eruttano getti di vapore congelato a centinaia di miglia di altezza nella sua atmosfera animata. Le zone intorno a queste aperture dimostrano che sono state “riasfaltate” con uno strato piatto di materiale nuovo. Queste aree riemerse sono la caratteristica dominante della superficie della luna e il piccolo numero di crateri da impatto rispetto ad altri corpi del sistema solare è la prova della continua attività vulcanica di Io. I criovulcani sono stati osservati nel 1989, quando la sonda Voyager 2 diede prova della loro esistenza nella regione polare sud di questa luna.


I GEYSER DI ENCELADO – I criovulcani su Encelado sono stati documentati dalla sonda Cassini nel 2005. La navicella spaziale ha ripreso getti di particelle ghiacciate da fessure simili ai nostri geyser nella regione polare sud. Ciò ha reso Encelado il quarto corpo del sistema solare con confermata attività vulcanica. La sonda ha effettivamente mostrato e documentato come la composizione fosse principalmente composta da vapore acqueo con piccole quantità di azoto, metano e biossido di carbonio. La teoria per spiegare i criovulcani afferma che ci sarebbero delle sacche d’acqua in pressione nel sottosuolo ad una breve distanza dalla superficie del satellite. Quest’acqua viene mantenuta allo stato liquido dal riscaldamento mareale dell’interno della luna. Occasionalmente queste acque pressurizzate fanno sfogo sino alla superficie, producendo un pennacchio di vapore acqueo e particelle di ghiaccio. La prova più diretta che può essere ottenuta per documentare l’attività vulcanica su corpi extraterrestri è quella di osservare l’immagine o l’eruzione in corso, come è accaduto per Io, e senza la quale sarebbe difficile capirlo con certezza. Un altro tipo di prova è un cambiamento nella superficie del corpo, dal momento che un’eruzione può produrre una copertura al suolo di detriti. I criovulcani su Encelado sono stati scoperti soltanto nel 2005, anche se ci sono vari punti ancora sconosciuti da elaborare. Alcuni credono che il nostro vicino di casa, Venere, possa ancora ospitare attività vulcanica, nascosta sotto la sua perenne coltre di nubi. E’anche probabile che questi criovulcani possano essere scoperti su altri mondi nelle parti esterne del nostro Sistema Solare, come Europa, , Ganimede, Titano o Miranda. Insomma, siamo di fronte ad un periodo emozionante dell’esplorazione spaziale. Credit Meteo web